L'Ente Risi
Gli eventi degli anni '30 Nel 1931 si ha la creazione dell’Ente Risi, preparato con un Decreto Legge presto trasformato in legge e salutato da Mussolini come un “tipico esperimento corporativo”. Sotto il profilo giuridico l’Ente era un “organo distaccato della Pubblica Amministrazione” con funzione di controllo e incoraggiamento dell’iniziativa privata, dotato di numerose funzioni ma non altrettanto di poteri e strumenti operativi. L'Ente garantì un prezzo tale da coprire i costi di produzione e il collocamento delle eccedenze non assorbibili dal mercato interno, una forma molto rudimentale di dumping. Per questo motivo si fissavano i prezzi–base, che dovevano servire di orientamento per le contrattazioni; all’atto della compravendita si esigeva un “diritto di contratto” cioè una tassa di £ 14 il quintale che, a sua volta, era ridistribuito in quote d rimborso per compensare gli esportatori del prezzo basso cui erano costretti a vendere all’estero. Inoltre l’Ente era svincolato dall’azione dello Stato, che poteva intervenire solo all’atto della nomina degli organi di governo e dell’approvazione dell’entità del diritto di contratto. Inoltre l’Ente aveva il potere di imporre imposte per autofinanziarsi; ciò gli consentirà di fare un uso assai limitato del finanziamento pubblico anche quando, dal 1934, avrà sovvenzionamenti ordinari e straordinari in sintonia col progressivo ampliarsi dei suoi compiti.
Lo Stato non intendeva in
realtà controllare completamente tutto il settore, anche attraverso
requisizioni (come era accaduto nel periodo bellico) o controllando
rigidamente la distribuzione, ma semplicemente voleva
difendere gli interessi di categoria
dei risicoltori (cioè dei privati) nel quadro dell’attività di un
Ente che disciplinasse la coltivazione del riso e la sua vendita collettiva,
rappresentando uno strumento attraverso il quale lo Stato incentiva la
produzione nazionale e gli agrari hanno l’opportunità di interagire con
forza con le attività del governo. Sotto l’aspetto strutturale ha un’amministrazione centrale (a Milano) e una periferica, costituita da sezioni stabilite nelle principali aree agrarie. Dell’amministrazione centrale fa parte il presidente, di nomina ministeriale, dotato del potere di iniziativa per i “casi di estrema urgenza”: ciò gli consente dal 1933 di assorbire compiti prima attribuiti al C. d. A., grazie all’attività del presidente Aldo Rossini, in carica dal 1931 al 1943. Altri organi centrali sono il C. d. A., la Giunta esecutiva, la Direzione generale e il Collegio dei revisori. A Milano fanno capo tutte le funzioni contabili e amministrative, mentre le sezioni provinciali hanno compiti di vigilanza sulla produzione e sui trasferimenti di risone. Dal punto di vista amministrativo l’Ente si presentava come il risultato di una intesa fra il Ministero dell’Agricoltura e il Ministero delle Corporazioni che ne mantenevano il controllo, essendo loro, congiuntamente, attribuito il diritto di nomina del Presidente e del Consiglio. Di fatto il primo avrebbe rivendicato il compito di individuare gli obiettivi, mentre il secondo si limiterà ad una verifica tecnica dell’attività.
Uno spazio notevole era
attribuito ai rappresentanti delle
categorie rurali (un membro per regione), contro il numero fisso di
rappresentanti dei pilatori, cioè 5 per tutto il territorio nazionale. Progressivamente però gli agrari divennero sempre più diffidenti verso l’Ente, che a loro parere li costringeva a non vendere il risone lasciando poi cadere i prezzi. Gli anni di crisi più profonda furono il 1932 e il 1933, anche perché tra i Paesi stranieri clienti abituali ( Austria, Ungheria, Jugoslavia, Grecia, Argentina) ve ne erano alcuni che erano impossibilitati a pagare, il che costringeva i produttori a rifiutare ulteriori ordini. Inoltre vi erano ricorrenti crisi dovute a “guerre doganali” come quella italo – argentina del 1931 , che in otto mesi portò il prezzo del prodotto finito ad un aumento del … 1800 %, vanificando tutte le strategie dell’Ente. Il problema progressivamente si andò inquadrando nel contesto più generale della politica commerciale italiana. Si stava infatti precisando una linea teorica “di reciprocità” ispirata a modelli francesi, di cui era portavoce Alberto de Stefani, riassumibile nella formula “compriamo (cioè importiamo) da chi compra da noi” passando attraverso vie negoziali che, nella visione di De Stefani, potevano avere il punto di partenza dagli organi corporativi. Un altro importante sostenitore della stessa linea politica era la Scuola di Scienza delle finanze dell’Università di Pavia. Iniziarono importanti trattative diplomatiche per concludere accordi per l’esportazione del riso.
Accordi
economici internazionali Intanto fin dal 1932 i vertici dell’Ente risi, nella persona del presidente Rossini, si erano posti il problema delle evasioni dal pagamento del diritto di contratto, rese possibili col sistema di vendita fondato sul contatto diretto produttore / acquirente. Ci si era perciò orientati verso la costituzione di uffici di vendita cui far affluire la produzione destinata all’esportazione: nacquero così l’AVERI, che ebbe l’esclusiva per l’esportazione dei risi semilavorati e lavorati, mentre per il greggio furono create le SAPRI, ovvero società anonime produttori di riso ( una per ogni provincia risicola, e cioè Vercelli, Milano, Novara, Pavia), dotate di un capitale di 6 milioni di lire, di cui 3.100.000 a carico dell’Ente risi e 2.900.000 a carico delle Unioni provinciali degli agricoltori. Tre di queste società furono liquidate entro il 1933; sopravvisse solo la SAPRI milanese, che dal 1934 si trasformò con il trasferimento del capitale sociale dai singoli soci alla Federazione provinciale e, in seguito alla revoca alla medesima del riconoscimento della personalità giuridica, alla Confederazione nazionale fascista degli agricoltori. Così trasformata, la SAPRI iniziò ad intervenire sul mercato con operazioni di compravendita per il sostegno dei prezzi. In seguito giunse a controllare tutto il credito agrario per la vendita rateale del risone su tutto il territorio nazionale. Ulteriore ampliamento di poteri e funzioni nel 1936, quando ottenne di poter compiere tutte le operazioni finanziarie e commerciali, mobiliari e immobiliari, compresa la possibilità di assumere partecipazioni in altre Società o imprese. Il primo intervento fu l’aggregazione di tutto il patrimonio e di ogni passività della Riseria di S. Germano con sede a Milano, la costruzione dei Magazzini di Pavia con impianti di lavorazione in proprio del riso, l’acquisto dell’intero pacchetto azionario dei Magazzini Generali della Lomellina, il monopolio nella produzione e nella vendita di sementi per il risone, la possibilità di effettuare sperimentazioni per il miglioramento della quantità e della qualità della produzione, secondo una linea di azione già sperimentata nel corso della “battaglia del grano” e infine (nel ’40) la gestione autonoma dell’ammasso del risone; ricordiamo per inciso che l’ammasso del grano era divenuto obbligatorio dal ‘36. Per quanto concerne gli studi volti a migliorare dal punto di vista genetico la produzione, ricordiamo gli studi sull’ibridazione dell’Originario Chinese e dell’Americano 1600 e la selezione di varietà elette, come il Precoce 6, il Precoce Allorio, il Precoce Novella, il Maratelli, l’Ardizzone, il Roncarolo, l’Ardito, da utilizzarsi in secondo raccolto. Furono inoltre introdotti metodi di coltura più razionali, come il trapianto e la semina a righe.
Il biennio 1936 - 1937
fu caratterizzato da una crisi
che, sul piano politico, si configurava come lo scontro
fra la borghesia agraria desiderosa di incrementare i propri guadagni e un
regime che voleva una programmazione economica fondata sull’autarchia e
sull’approvvigionamento a basso costo. Nel 1939 il provvedimento di ammasso fu esteso anche al risone, il che intaccò gli ultimi residui di flessibilità e di automatismo del mercato. L’obbligo del conferimento risicolo fu poi legalmente sancito nel 1940 e affidato dal punto di vista organizzativo alla Federazione dei consorzi provinciali tra i produttori dell’agricoltura. L’Ente Risi, investito di compiti burocratici e amministrativi relativi alla raccolta, alla conservazione e alla vendita del prodotto, finì per assumere il monopolio del mercato risicolo. Fu scelta la forma dell’ammasso in cascina: i produttori avevano l’onere di custodia e conservazione del prodotto, ma risparmiavano le spese di trasporto. Tale pratica assicurò ai produttori il realizzo immediato del prodotto ed evitò un aggravio del prezzo di vendita.
Intanto dal 1938 (legge
16 giugno 1938, la cosiddetta “legge
Rossoni”)
tutti gli organismi che erano attivi in campo agricolo a livello provinciale
erano stati raggruppati in una federazione nazionale distinta da quella dei
Consorzi agrari. Con Regio Decreto 5 settembre 1938
i Consorzi agrari persero la natura
cooperativa e divennero enti morali con funzioni esecutive rispetto ai
Consorzi dei produttori. Si
voleva in definitiva inquadrare nella nuova organizzazione tutto il settore
della produzione agricola trasferendo ad essa anche le funzioni e le
competenze di quegli Enti che, come l’Ente risi, avevano fino ad allora
mantenuto una fisionomia propria. Iniziò perciò una vera guerra di
competenze tra l’Ente e la Federazione nazionale dei consorzi provinciali;
quest’ultima non era in grado di assicurare il controllo sugli ammassi,
materialmente gestito dall’Ente risi; l’ente, a sua volta, tentava di
scavalcare la Federazione in ambito contabile e nelle relazioni col
Ministero. Fra il 1942 e il 1945 vi furono due tentativi di riorganizzare la
rete degli enti pubblici settoriali, senza molto successo. |