La territorialità nello stato
romano
Dalla repubblica all'impero - L'impero romano -
I grafi relativi allo Stato romano
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Analizziamo in sintesi l’organizzazione dello
Stato romano sotto il profilo della territorialità, come si è
venuta configurando nel passaggio dalla fase repubblicana a quella
imperiale,. I problemi organizzativi ed amministrativi nelle aree di volta
in volta sottomesse furono risolti con politiche differenziate, per
cui Roma diversificava il trattamento riservato alle singole
città. Il risultato più evidente e permanente fu quello di mantenere divisi
i popoli soggetti potendoli più facilmente controllare.
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Sciolta dopo la vittoria di Roma del 338 a.C. la
Confederazione latina ( formata da Latini, Campani e Volsci ) la città si
mise a capo di una confederazione italica , caratterizzata da una
serie di patti (foedera) che Roma stipulava con singole città.
Tali patti potevano avere un carattere paritario oppure potevano essere
imposti unilateralmente dalla città egemone. Nel primo caso l’obbligo di
intervento era solo difensivo in caso di attacco di avversari esterni (
foedera aequa ), nel secondo caso gli alleati erano obbligati ad
intervenire a tutte le guerre difensive o offensive combattute da Roma (
foedera iniqua ).
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Il municipium, era una comunità che, pur
accolta nella cittadinanza romana ed iscritta nelle tribù, conservava la sua
autonomia amministrativa. |
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- I territori conquistati vennero divisi in province, circoscrizioni territoriali amministrative sottoposte all’autorità di un governatore ( con tutti i poteri civili e militari ) ed obbligate al pagamento di un regolare tributo. Le prime province furono: Sicilia, Corsica, Spagna citeriore, Spagna ulteriore e Africa a cui poi si aggiunsero Macedonia e Acaia (Grecia), Asia e Africa nel corso del II secolo a.C. - Il governatore non era limitato né dalla collegialità, né dall’intercessione dei tribuni e non poteva essere sottoposto ad alcun provvedimento giudiziario. - Non ricevendo inoltre dallo Stato romano nessun compenso per l’espletamento del suo mandato, egli ed i suoi collaboratori si avvaleva dell’esercizio del potere per rifarsi sui provinciali. Abusi e sfruttamenti divennero prassi politica abitudinaria.
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I magistrati-governatori a capo delle province
furono proconsoli e propretori ( magistrati usciti di carica, che
rientravano a tutti gli effetti nella classe dirigente che già aveva
ricoperto cariche a Roma ). - Il governo delle province romane non significava solo sfruttamento. La pace romana ( subentrata comunque alla conquista armata ) permetteva ai vari popoli di conservare i costumi tradizionali, mostrandosi tollerante nei riguardi dei culti locali e assicurava la tutela dell’ordine pubblico. - L’aggregazione del territorio delle province creò problemi interni allo Stato romano, in quanto gli Italici, esclusi dalla cittadinanza, mal tolleravano l’esclusivo privilegio dei cittadini romani nello sfruttare le ingenti ricchezze provinciali. - Mentre in precedenza ai socii Italici poteva apparire positiva l’autonomia che Roma lasciava loro, cominciò allora ad avvertirsi più pressante l’esigenza di una piena partecipazione alla cittadinanza romana. L’eguaglianza giuridica era pregiudiziale per usufruire dei vantaggi economici connessi all’allargamento dei domini di Roma. - Un primo significativo allargamento della cittadinanza romana ai provinciali avvenne sotto Giulio Cesare con la concessione della stessa alla Gallia Cisalpina ad alcune città spagnole, mentre diritti latini andavano alla Sicilia ed a molti centri della Gallia Narbonese, della Spagna e dell’Africa.
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