La pittura di Antonello da
Messina si propone a noi in chiave fortemente
simbolica.
L’arco in primo piano, di stile nordico, ma rivisitato da Antonello con
forme catalane, è un invito ad entrare. C’è uno spazio da lasciare, ed è
quello esterno, antistante l’arco stesso, dove siamo noi, in questo
momento, mentre contempliamo l’opera.
C’è un gradino da superare ed occorre
fare attenzione perché su di esso, quasi a presidiarne l’ingresso,
Antonello ha dipinto, “un pavone, un cotorno, et un bacil da
barbiero”. La valenza simbolica di questi tre elementi è evidente
quanto sottile: rimandano a Cristo. Il pavone,
dalla ricca simbologia, richiama per le sue forme la “Bellezza”; per la
sua ruota aperta, il “Sole”; per il ricrescere delle sue piume a
primavera, la “Risurrezione” e l’ “Immortalità”; per il suo cacciare
serpenti velenosi, la “Purezza”.
Il “bacil da barbiero” si
riferisce, invece, alla passione di Cristo ed alla coppa che ne raccolse
il sangue. (Il barbiere, occorre ricordare, era detto ‘cerusico’ ossia
chirurgo.) E così pure la stessa coturnice, secondo l’iconografia
tradizionale, allude chiaramente alla redenzione di Cristo.
Insomma, l’entrare in questo studio, l’entrare
nel “Sapere vero”, sembra ammonirci l’artista, esige un abito,
un atteggiamento idoneo, quasi una sorta di rito
d’iniziazione. Il “Sapere”, trova terreno fertile in un
animo puro ritmato dalla curiosità, spinto alla ricerca del “Vero”, aperto
alla “Luce”, amante della “Vita”, desideroso di raggiungere una “Bellezza”
non formale o puramente estetica, ma totale, profonda, duratura: “Eterna”.
Anche lo stesso arco proponendosi,
così, come porta, è un’ulteriore allusione a
Cristo là dove Egli stesso si definisce come “la porta
stretta” attraverso la quale sono chiamati ad entrare, in piena
libertà, coloro che scelgono di diventare suoi veri discepoli e testimoni.
Tra un “sapere” materiale, esterno, appariscente, illusorio, che rischia
di non penetrare il senso ultimo delle cose, ed un
“Sapere” vero, profondo, interiore, spirituale, capace di sondare e dar
ragione dei valori del vivere, Antonello sembra proprio
frapporre questa soglia da varcare che è Cristo nel momento indubbiamente
più umano e più alto della sua esistenza tra noi: quello della passione e
morte che ci “conduce a salvezza”.
Varcata la soglia si è come presi, coinvolti in un altro spazio che si
rivela molto più ampio ed aperto di quanto non si osasse sospettare.
Affascina la fresca e severa atmosfera
che avvolge; seduce la luce che gioca, ora brillante, ora misurata, a
rivelare ed a nascondere le cose rendendo lo
sguardo inquieto, mai fermo, mai pago; incuriosisce l’architettura
che cattura e che ha forme, misure e significati diversi; intimorisce il
silenzio che penetra dentro, rotto
soltanto dal passo felpato, solenne del leone
in penombra e dal vivace cinguettio degli uccelli
che si rincorrono nell’azzurro del cielo posandosi, di tanto in tanto, per
un breve riposo, sul davanzale delle esili bifore.
Una luce va ad illuminare, nel centro,
lo “studio”: una sorta di sobria struttura, rialzata, un po’
cattedra, un po’
scrittoio, un po’
libreria. E' come un palcoscenico sul
quale, da protagonisti, recitano vivaci, gli oggetti secondo un copione
dettato dalla stessa luce ed il tutto prende un sereno
sapore di quotidianità, di familiarità
senza nulla perdere in solennità ed eleganza.
Le pantofole lasciate ai piedi della
piccola scala inducono a ricercare rispetto; la pianta di bosso nel vaso
in ceramica moresca Malines bianca e blu parla di
perseveranza e vita eterna; similmente il
fiore di geranio che spunta da un vaso
della stessa fattura, dice amore e passione, nel senso del ‘pathos’; il
drappo appeso, forse un
asciugamano o un
sudario, allude a
costanza e fatica,
il piccolo gatto seduto parla di
affetto semplice e sincero.
I numerosi
libri, aperti o chiusi, disposti in calcolato disordine, secondo le più
originali prospettive, esprimono curiosità, ricerca, concentrazione,
studio, profondità di pensiero, indagine riflessiva, speculazione
sapiente.
Al centro di tutto questo spazio, che è anche il
centro geometrico dell’opera, c’è l’uomo. Il personaggio è San
Gerolamo nelle sue vesti di cardinale e di studioso che lo
qualificano anche come Padre della Chiesa. Dipinto di profilo ci
colpisce subito un duplice, quasi contrastante, aspetto: alla dinamica
ricchezza di un abito tra le cui pieghe sembra divertirsi la luce che
rimbalza, si nasconde e di nuovo riapparire più distesa e composta, si
affianca lo statico, solenne, ieratico, quasi sacrale atteggiamento del
santo. E così, l’azione dello studiare, da
attimo fugace o fatto contingente diventa particella di “Eternità”,
frammento di “Infinito”.
E così, lo “studioso” ed il “sapere”, il “saggio”
e la “saggezza”, insieme, diventano i grandi protagonisti dell’opera e
quel che ne esce è il ritratto perfetto del vero “umanista” che
caratterizza la cultura del rinascimento quattrocentesco di cui Antonello
da Messina si fa abile interprete e fedele testimone.
commento a cura di Don Domenico Sguaitamatti
http://www.collegiosancarlo.it/Bacheca/Icona2006_2007.htm