Gli studia humanitatis


Giorgione, I tre filosofi, 1508 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum
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Il dipinto propone un soggetto misterioso, caratterizzato da grande vividezza dei colori, nuova ampiezza dei panneggi, ardita impaginazione compositiva. Il quadro è diviso in quattro settori delimitati dalle diagonali: nella parte inferiore abbiamo un luminoso scorcio di roccia; a sinistra notiamo una zona di ombra profonda in cui si apre una caverna; in alto la luminosità trasparente di un cielo e di un paesaggio; a destra le tre presenze umane. Queste sono state identificate con le tre età dell’uomo, o i simboli della filosofia classica (il vecchio), medievale (l’arabo), moderna (il giovane); si è pensato a personaggi mitici, quali Evandro, Pallante, Enea, o a  matematici, o ai Re Magi. Certo sono pensatori: l’opera testimonia la centralità della cultura nel Rinascimento.

 


Antonello da Messina, San Gerolamo nello studio (1475 London The National Gallery)
 

La pittura di Antonello da Messina  si propone a noi  in chiave fortemente simbolica.
L’arco in primo piano, di stile nordico, ma rivisitato da Antonello con forme catalane, è un invito ad entrare. C’è uno spazio da lasciare, ed è quello esterno, antistante l’arco stesso, dove siamo noi, in questo momento, mentre contempliamo l’opera.

C’è un gradino da superare ed occorre fare attenzione perché su di esso, quasi a presidiarne l’ingresso, Antonello ha dipinto,  “un pavone, un cotorno, et un bacil da barbiero”. La valenza simbolica di questi tre elementi è evidente quanto sottile: rimandano a Cristo. Il pavone, dalla ricca simbologia, richiama per le sue forme la “Bellezza”; per la sua ruota aperta, il “Sole”; per il ricrescere delle sue piume a primavera, la “Risurrezione” e l’ “Immortalità”; per il suo cacciare serpenti velenosi, la “Purezza”.
Il “bacil da barbiero” si riferisce, invece, alla passione di Cristo ed alla coppa che ne raccolse il sangue. (Il barbiere, occorre ricordare, era detto ‘cerusico’ ossia chirurgo.) E così pure la stessa coturnice, secondo l’iconografia tradizionale, allude chiaramente alla redenzione di Cristo.
Insomma, l’entrare in questo studio, l’entrare nel “Sapere vero”, sembra ammonirci l’artista, esige un abito, un atteggiamento idoneo, quasi una sorta di rito d’iniziazione.  Il “Sapere”, trova terreno fertile in un animo puro ritmato dalla curiosità, spinto alla ricerca del “Vero”, aperto alla “Luce”, amante della “Vita”, desideroso di raggiungere una “Bellezza” non formale o puramente estetica, ma totale, profonda, duratura: “Eterna”.
Anche lo stesso arco proponendosi, così, come porta, è un’ulteriore allusione a Cristo là dove Egli stesso si definisce come “la porta stretta” attraverso la quale sono chiamati ad entrare, in piena libertà, coloro che scelgono di diventare suoi veri discepoli e testimoni.

Tra un “sapere” materiale, esterno, appariscente, illusorio, che rischia di non penetrare il senso ultimo delle cose, ed un “Sapere” vero, profondo, interiore, spirituale, capace di sondare e dar ragione dei valori del vivere, Antonello sembra proprio frapporre questa soglia da varcare che è Cristo nel momento indubbiamente più umano e più alto della sua esistenza tra noi: quello della passione e morte che ci “conduce a salvezza”.

Varcata la soglia si è come presi, coinvolti in un altro spazio che si rivela molto più ampio ed aperto di quanto non si osasse sospettare. Affascina la fresca e severa atmosfera che avvolge; seduce la luce che gioca, ora brillante, ora misurata, a rivelare ed a nascondere le cose rendendo lo sguardo inquieto, mai fermo, mai pago; incuriosisce l’architettura che cattura e che ha forme, misure e significati diversi; intimorisce il silenzio che penetra dentro, rotto soltanto dal passo felpato, solenne del leone in penombra e dal vivace cinguettio degli uccelli che si rincorrono nell’azzurro del cielo posandosi, di tanto in tanto, per un breve riposo, sul davanzale delle esili bifore.
Una luce va ad illuminare, nel centro, lo “studio”: una sorta di sobria struttura, rialzata, un po’ cattedra, un po’ scrittoio, un po’ libreria. E' come un palcoscenico sul quale, da protagonisti, recitano vivaci, gli oggetti secondo un copione dettato dalla stessa luce ed il tutto prende un sereno sapore di quotidianità, di familiarità senza nulla perdere in solennità ed eleganza.
Le pantofole lasciate ai piedi della piccola scala inducono a ricercare rispetto; la pianta di bosso nel vaso in ceramica moresca Malines bianca e blu parla di perseveranza e vita eterna; similmente il fiore di geranio che spunta da un vaso della stessa fattura, dice amore e passione, nel senso del ‘pathos’; il drappo appeso, forse un asciugamano o un sudario, allude a costanza e fatica, il piccolo gatto seduto parla di affetto semplice e sincero.

I numerosi libri, aperti o chiusi, disposti in calcolato disordine, secondo le più originali prospettive, esprimono curiosità, ricerca, concentrazione, studio, profondità di pensiero, indagine riflessiva, speculazione sapiente.

Al centro di tutto questo spazio, che è anche il centro geometrico dell’opera, c’è l’uomo. Il personaggio è San Gerolamo nelle sue vesti di cardinale e di studioso che lo qualificano anche come Padre della Chiesa. Dipinto di profilo ci colpisce subito un duplice, quasi contrastante, aspetto: alla dinamica ricchezza di un abito tra le cui pieghe sembra divertirsi la luce che rimbalza, si nasconde e di nuovo riapparire più distesa e composta, si affianca lo statico, solenne, ieratico, quasi sacrale atteggiamento del santo. E così, l’azione dello studiare, da attimo fugace o fatto contingente diventa particella di “Eternità”, frammento di “Infinito”.

E così, lo “studioso” ed il “sapere”, il “saggio” e la “saggezza”, insieme, diventano i grandi protagonisti dell’opera e quel che ne esce è il ritratto perfetto del vero “umanista” che caratterizza la cultura del rinascimento quattrocentesco di cui Antonello da Messina si fa abile interprete e fedele testimone.

commento a cura di Don Domenico Sguaitamatti
http://www.collegiosancarlo.it/Bacheca/Icona2006_2007.htm

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