Petrarca – Rerum vulgarium fragmenta

 

Canzoniere, 1
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

       

 

 

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

 

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

di quei sospiri ond'io nudriva 'l core

in sul mio primo giovenile errore

quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono:

             

del vario stile in ch'io piango et ragiono,

fra le vane speranze e 'l van dolore,

ove sia chi per prova intenda amore,

spero trovar pietà, nonché perdono.

 

Ma ben veggio or sì come al popol tutto

favola fui gran tempo, onde sovente

di me medesmo meco mi vergogno;

 

et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,

e 'l pentérsi, e 'l conoscer chiaramente

che quanto piace al mondo è breve sogno.

 

 

Il Canzoniere di Petrarca si apre con un sonetto che introduce il lettore ai temi principali dell’opera, la quale è sostanzialmente la trasposizione in poesia di una lunga e tormentata passione amorosa per Laura.

 

La donna celebrata dal poeta viene assunta a simbolo di tutti i vani piaceri mondani, da cui Petrarca (o meglio l’io della finzione autobiografica) ricerca faticosamente il distacco, per avvicinarsi a Dio.

L’amore per lei fin da questo primo componimento viene descritto come “errore”, da intendersi come sviamento e come illusione, perché fonte di “vane speranze” e di “van dolore”; il poeta si rende conto che questo “vaneggiare” lo ha reso ridicolo agli occhi della gente e perciò, dice, è spinto spesso a vergognarsene.

D’altro canto, egli spera che tra il suo pubblico vi siano persone in grado di comprendere la sua miserevole condizione, per aver sperimentato come lui l’amore; confidando nella loro benevolenza, Petrarca può dunque chiedere anticipatamente pietà e perdono per il fatto che ora egli voglia mettere in versi la sua vicenda, e poi dar libero sfogo ai “sospiri”, che saranno la materia dell’opera.

 

Lungi dal rinnegare il suo amore profano per Laura, infatti, Petrarca lo esalta, dedicandogli 366 tra sonetti (i più numerosi: 317), canzoni, sestine, ballate e madrigali.

Il fatto ch’egli abbia riconosciuto il suo errore non implica che se ne sia liberato una volta per tutte (al v. 4 troviamo la conferma che il passato non è del tutto cancellato: “quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono”); al contrario, il poeta conferma il suo attaccamento alle gioie terrene (tra queste vi è anche la poesia stessa), benché fallaci ed effimere, e si compiace nel rievocare la sofferenza e gli affanni che esse gli procurano.

 

Le scelte lessicali di Petrarca non lasciano dubbi in proposito.

I sospiri e il pianto che fin da questo primo componimento descrivono lo stato d’inquietudine dell’uomo innamorato ritornano con tale frequenza nel Canzoniere (spesso associate come già qui) da funzionare come parole-chiave, in grado di guidarci nella lettura dell’opera.

Dopo il sonetto d’apertura, infatti, la parola “sospiri” compare altre 41 volte (2 nella forma “sospir’”); più raro è l’uso del singolare (3). Spesso incontriamo il verbo (“sospiro” 5, “sospirare” 1, “sospirar” 8, “sospira14, “sospirate” 2).

Il verbo “piango”, invece, ritorna altre 16 volte in questa forma e molte di più in altre (“pianger28, “piangere” 1,“piange” 11, “piangeva” 1, “piansi” 4); ben 49 volte compare il sostantivo “pianto” (3 volte al plurale). A questi bisogna peraltro aggiungere termini che appartengono al medesimo campo semantico: il sostantivo “lagrime” compare in 37 componimenti, 3 volte incontriamo “lagrima”, 1 volta “lagrimetta”; la voce verbale “lagrimar” compare 10 volte.

L’uso insistito di queste parole-chiave ha valore non solo sul piano dei contenuti, ma anche nell’ambito delle scelte formali compiute dal poeta.

Egli presenta la sua opera come raccolta di frammenti, ovvero di “rime sparse” e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la sua poesia nasce dai sospiri d’amore, dalle struggenti invocazioni all’amata, dalle sconsolate richieste di pietà che egli rivolge al crudele Amore: le sue rime simulano la fatica di un innamorato che tenta di dar voce ai propri sentimenti ed alterna brevi dichiarazioni a singhiozzi e languidi sospiri. Tutto ciò è reso manifesto da Petrarca, ma risponde ad una precisa scelta stilistica: mentre esibisce l’inadeguatezza della sua poesia, egli realizza una composizione di grande pregio formale, che gli varrà (egli ne è ben consapevole) una fama duratura.

 

Ad esemplificazione di quanto detto, proponiamo alcuni dei testi più significativi.

 

 

Canzoniere, 5

 

 

       

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Quando io movo i sospiri a chiamar voi,

e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,

LAUdando s'incomincia udir di fore

il suon de' primi dolci accenti suoi.

 

Vostro stato REal, che 'ncontro poi,

raddoppia a l'alta impresa il mio valore;

ma: TAci, grida il fin, ché farle honore

è d'altri homeri soma che da' tuoi.

 

Così LAUdare et REverire insegna

la voce stessa, pur ch'altri vi chiami,

o d'ogni reverenza et d'onor degna:

 

se non che forse Apollo si disdegna

ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami

lingua mortal presumptuosa vegna.

 

 

 

Il tema centrale di questo sonetto, tutto giocato su artifici linguistici, che testimonia un gusto ancora arcaizzante del poeta, è la lode di Laura; lode che inizia con un sospiro, per acquistare forza via via che il poeta compone, sillabandolo, il nome dell’amata.

 

 

Canzoniere, 49

 

 

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Perch'io t'abbia guardato di menzogna

a mio podere et honorato assai,

ingrata lingua, già però non m'ài

renduto honor, ma facto ira et vergogna:

 

ché quando più 'l tuo aiuto mi bisogna

per dimandar mercede, allor ti stai

sempre più fredda, et se parole fai,

son imperfecte, et quasi d'uom che sogna.

 

Lagrime triste, et voi tutte le notti

m'accompagnate, ov'io vorrei star solo,

poi fuggite dinanzi a la mia pace;

 

et voi sì pronti a darmi angoscia et duolo,

sospiri, allor traete lenti et rotti:

sola la vista mia del cor non tace.

 

 

Il dubbio di non saper degnamente celebrare la donna amata compariva già nel sonetto precedente, ma le qualità di lei erano in grado di ispirare il poeta e di sostenerlo nella difficile impresa. In questo, invece, il poeta si rivolge con tono di rimprovero all’ “ingrata lingua”, alle “lagrime” e ai “sospiri”, perché sono sempre pronti ad importunarlo e a tormentarlo, quand’egli vorrebbe star solo e in pace, ma non sono di nessun aiuto quando egli ne ha più bisogno. Egli si dice, insomma, incapace di manifestare adeguatamente con questi strumenti il proprio amore, che è rivelato solo dal suo aspetto.

 

  

Canzoniere, 61

 

 

 

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, et l'anno,

et la stagione, e 'l tempo, et l'ora, e 'l punto,

e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto

da' duo begli occhi che legato m'ànno;

 

et benedetto il primo dolce affanno

ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,

et l'arco, et le saette ond'i' fui punto,

et le piaghe che 'nfin al cor mi vanno.

 

Benedette le voci tante ch'io

chiamando il nome de mia donna ò sparte,

e i sospiri, et le lagrime, e 'l desio;

 

et benedette sian tutte le carte

ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,

ch'è sol di lei, sì ch'altra non v'à parte.

 

 

Qui Petrarca esalta il momento in cui è stato vinto da Amore (benedice persino gli “strumenti” di cui si è servito e le piaghe che ha provocato) e dagli occhi della donna, ma al tempo stesso esalta la poesia che ne è scaturita (fatta di “voci” sparse, “sospiri”, “lagrime” e desiderio) e da cui trarrà gloria e fama.

 

Canzoniere, 17

       

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Piovonmi amare lagrime dal viso

con un vento angoscioso di sospiri,

quando in voi adiven che gli occhi giri

per cui sola dal mondo i' son diviso.

 

Vero è che 'l dolce mansueto riso

pur acqueta gli ardenti miei desiri,

et mi sottragge al foco de' martiri,

mentr'io son a mirarvi intento et fiso;

 

ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi

ch'i' veggio al departir, gli atti soavi

torcer da me le mie fatali stelle.

 

Largata alfin co l'amorose chiavi

l'anima esce del cor per seguir voi;

et con molto pensiero indi si svelle.

 

 

 In quest’altro sonetto il poeta descrive quale effetto prodigioso Laura abbia su di lui: la vista dell’amata riesce a placare un poco il suo ardente desiderio, ma vedendola andar via, non solo egli inizia a sospirare e a versare “amare lagrime”, ma addirittura il suo spirito vitale diviene come ghiaccio e la sua anima abbandona il corpo, dopo aver aperto la serratura del cuore, per volar via dietro a Laura.

 

 Canzoniere, 252

 

 

 

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

 

In dubbio di mio stato, or piango or canto,

et temo et spero; et in sospiri e 'n rime

sfogo il mio incarco: Amor tutte sue lime

usa sopra 'l mio core, afflicto tanto.

 

Or fia già mai che quel bel viso santo

renda a quest'occhi le lor luci prime

(lasso, non so che di me stesso estime)?

o li condanni a sempiterno pianto;

 

et per prendere il ciel, debito a lui,

non curi che si sia di loro in terra,

di ch'egli è 'l sole, et non veggiono altrui?

 

In tal paura e 'n sì perpetua guerra

vivo ch'i' non son più quel che già fui,

qual chi per via dubbiosa teme et erra.

 

       

L’incerta e “dubbiosa” condizione del poeta ritorna in un altro componimento: per colpa di Amore, che tormenta il suo cuore, egli oscilla continuamente tra la paura e la speranza e non può far altro che sfogare nel canto la sua angoscia.

 

Canzoniere, 50

 

      

57

 

 

 

 

 

 

Et perché un poco nel parlar mi sfogo,

veggio la sera i buoi tornare sciolti

da le campagne et da' solcati colli:

i miei sospiri a me perché non tolti

quando che sia? perché no 'l grave giogo?

perché dì et notte gli occhi miei son molli?

 

 

In questa canzone il poeta paragona i suoi sospiri ad un giogo che gli grava addosso e si duole del fatto che non gli venga mai tolto, di modo che la sua condizione è più penosa di quella animale.

 

Canzoniere, 130

 

    

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Poi che 'l camin m'è chiuso di Mercede,

per desperata via son dilungato

dagli occhi ov'era, i' non so per qual fato,

riposto il guidardon d'ogni mia fede.

 

Pasco 'l cor di sospir', ch'altro non chiede,

e di lagrime vivo a pianger nato:

né di ciò duolmi, perché in tale stato

è dolce il pianto più ch'altri non crede.

 

Et sol ad una imagine m'attegno,

che fe' non Zeusi, o Prasitele, o Fidia,

ma miglior mastro, et di più alto ingegno.

 

Qual Scithia m'assicura, o qual Numidia,

s' anchor non satia del mio exilio indegno

così nascosto mi ritrova Invidia?

 

In questo sonetto il poeta dichiara invece che i sospiri sono il cibo di cui nutre il suo cuore e che piangere per amore è uno stato a lui congeniale: è nato per quello, vive di quello! Ma di ciò non si rattrista, perché anzi questo pianto è per lui dolce, quanto nessuno potrebbe credere.

Di contenuto affine è anche il seguente:

 

Canzoniere, 212

 

 

 

 

4

 

 

 

 

8

 

 

 

11

 

 

 

14

Beato in sogno et di languir contento,

d'abbracciar l'ombre et seguir l'aura estiva,

nuoto per mar che non à fondo o riva,

solco onde, e 'n rena fondo, et scrivo in vento;

 

e 'l sol vagheggio, sì ch'elli à già spento

col suo splendor la mia vertù visiva,

et una cerva errante et fugitiva

caccio con un bue zoppo e 'nfermo et lento.

 

Cieco et stanco ad ogni altro ch'al mio danno

il qual dì et notte palpitando cerco,

sol Amor et madonna, et Morte, chiamo.

 

Così venti anni, grave et lungo affanno,

pur lagrime et sospiri et dolor merco:

in tale stella presi l'ésca et l'amo.

 

 

Canzoniere, 332

 

 

1

 

 

 

 

 

 

7

 

 

 

 

 

 

31

 

 

 

 

 

 

43

 

   

 

 

 

Mia benigna fortuna e 'l viver lieto,
i chiari giorni et le tranquille notti
e i soavi
sospiri e 'l dolce stile
che solea resonare in versi e 'n rime,
vòlti subitamente in doglia e 'n
pianto,
odiar vita mi fanno, et bramar morte.

 

Crudel, acerba, inexorabil Morte,
cagion mi dài di mai non esser lieto,
ma di menar tutta mia vita in
pianto,
e i giorni oscuri et le dogliose notti.
I mei gravi
sospir' non vanno in rime,
e 'l mio duro martir vince ogni stile.

Fuggito è 'l sonno a le mie crude notti,
e 'l suono usato a le mie roche rime,
che non sanno trattar altro che morte,
cosí è 'l mio cantar converso in
pianto.
Non à 'l regno d'Amor sí vario stile,
ch'è tanto or tristo quanto mai fu lieto.

Morte m'à morto, et sola pò far Morte
ch'i' torni a riveder quel viso lieto

che piacer mi facea i sospiri e 'l pianto,

l'aura dolce et la pioggia a le mie notti,

quando i penseri electi tessea in rime,

Amor alzando il mio debile stile.

 

     

I “sospiri” ed il “pianto” compaiono anche in questa sestina, con il secondo termine in posizione di assoluto rilievo perché in rima. Proprio il particolare schema metrico di questo componimento permette a Petrarca di dare maggior risalto al tema del pianto per amore (compare in tutte le 12 strofe), legandolo indissolubilmente a quello della sua poesia (sono in rima anche “stile” e “rime”). Egli rimpiange i giorni in cui la presenza di Laura, il suo viso e il pensiero di lei gli ispiravano “soavi sospiri”, mentre ora i suoi versi hanno perso il “dolce stile” e le sue rime, trattando solo più della Morte, son diventate “roche”.

 

 

        Canzoniere, 366

     

 

79

 

 

 

92

 

 

 

118

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

131

 

Vergine, quante lagrime ò già sparte,
quante lusinghe et quanti preghi indarno,
pur per mia pena et per mio grave danno!

Vergine, tale è terra, et posto à in doglia
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne
et de mille miei mali un non sapea:

Vergine humana, et nemica d'orgoglio,
del comune principio amor t'induca:
miserere d'un cor contrito humile.
Che se poca mortal terra caduca
amar con sí mirabil fede soglio,
che devrò far di te, cosa gentile?
Se dal mio stato assai misero et vile
per le tue man' resurgo,

Vergine, i' sacro et purgo

al tuo nome et penseri,

la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri.

Scorgimi al miglior guado,

et prendi in grado i cangiati desiri.

 

Il dì s'appressa, et non pote esser lunge,

sì corre il tempo et vola,

Vergine unica et sola,

e 'l cor or conscientia or morte punge.

Raccomandami al tuo Figliuol, verace

homo et verace Dio,

ch'accolga 'l mio spirto ultimo in pace.

 

Nella canzone che chiude la raccolta il poeta rievoca per l’ultima volta le “lagrime” sparse per Laura, anche se in un contesto nuovo, per affermare di aver mutato i suoi “desiri” e di voler ora purificare i suoi “penseri e 'ngegno et stile”.  Peraltro questa dichiarazione non significa l’inizio di una nuova vita: non ce ne sarebbe neppure il tempo. Il poeta infatti si sente prossimo alla morte e così si prepara all’evento, raccomandandosi alla Vergine perché interceda il suo favore presso Dio, chiedendole di avere pietà della sua esistenza, che resta tutta segnata da passioni e ambizioni terrene.

 

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