La grangia cistercense
ed i suoi sviluppi I monaci Cistercensi nel corso del medioevo si dedicarono al
dissodamento delle terre incolte, al lavoro nei campi,
ma soprattutto alla bonifica delle zone paludose. La
terra appena bonificata assicurava una buona produttività,
grazie ad esempio alla
Il termine grangia è riferibile alla struttura edilizia e organizzativa, che ha il compito di far produrre reddito alle terre dell’abbazia, presiedendo alla conduzione dei conversi. Grangia è il termine latino che si usa per indicare il luogo dove si conserva il grano, ma indica anche il complesso degli edifici costituenti la struttura agricola e l’insieme della proprietà agraria. Le grange cioè i fabbricati sorgevano
ordinariamente al centro dell'unità agricola e
formavano un grande cortile quadrato intorno al quale si
allineavano le abitazioni, le stalle, i magazzini, le
officine. Non mancava una piccola chiesa, ove
riunirsi per la preghiera. Le grange non potevano
distare più di un giorno di cammino dall'Abbazia ove i
conversi dovevano recarsi nei giorni festivi per assistere
alle funzioni religiose e ascoltare il sermone dell'Abate.
L'abbazia di Lucedio
La campagna fra Trino e Vercelli
era intorno al XII secolo in gran parte incolta a causa della persistenza di
ampie zone paludose e di foreste: fu dunque necessario bonificare i terreni e
metterli a coltura affinché potessero fornire una rendita. All'epoca esistevano
ordini religiosi che non limitavano la loro azione alla cura spirituale
dell'anima: uno di questi ordini era quello dei
monaci Cistercensi, a cui fu donato il territorio a nord di Trino dal
marchese Rainero dei Monferrato.
Con l'acquisizione della
grangia di Gaiano, alla quale si aggiungevano le
grange di Leri, Montarucco,
Ramezzana, Darola, Castelmerlino, si ebbe la massima
espansione delle terre. Tale struttura poteva nascere sulla base di
complessi agricoli già esistenti, oppure essere costruita ex-novo. Essa
godeva di notevole autonomia rispetto alla sede abbaziale che l'aveva
costituita. I monaci di Lucedio
seppero sfruttare al meglio il territorio, ricco di fontanili (falde
acquifere sotterranee affioranti), coltivando il riso. Inizialmente
veniva coltivato come spezia e poi sostituì il grano, molto più caro e
raro, soprattutto in quel periodo. Nel Medioevo la pianura vercellese era
infatti una vasta pianura malsana, separata dall'abitato da fitti boschi. I
lavori effettuati dai monaci furono quelli di incanalare i vicini corsi
d'acqua e di dissodare la brughiera. Non essendo ancora una pianta
selezionata, il riso, poteva crescere anche su terreni acidi. |
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La seconda metà del Settecento vide lo sviluppo delle risaie e il consolidarsi di grandi aziende agrarie di proprietà ecclesiastica, di enti ospedalieri e della nobiltà. Al loro interno si svilupparono organizzazioni complesse, che, oltre allo sfruttamento delle terre, dovevano garantire anche gli sbocchi sui mercati delle loro grandi produzioni.
Si può recuperare un quadro generale
dell'agricoltura del territorio utilizzando documenti di origine varia,
raccogliendo notizie sull'amministrazione delle aziende, sui patti agrari, sui contratti di compravendita,
sui rilevamenti a scopi fiscali. Raramente si sono conservati i documenti
amministrativi delle aziende, in gran parte ancora orientate alla produzione di autoconsumo.
Testimonianze precise si
ritrovano in grandi aziende condotte ad economia, cioè in gestione diretta dalla
proprietà. con l'intervento di dipendenti stipendiati. Uno di questi esempi è
costituito dalle terre della grande
abbazia di Santa Maria di Lucedio. |
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L'azienda di Lucedio e la sua organizzazione interna alla fine del XVIII secolo
Successivamente, nel 1822, Lucedio
passò sotto il controllo del Marchese
Giovanni Gozani di San Giorgio, antenato dell'attuale
proprietaria, che a sua volta, nel 1861, cedette la tenuta al
Marchese Raffaele de Ferrari, Duca di
Galliera, cui fu concesso il titolo di Principe di Lucedio.
Dalla contabilità di Lucedio tenuta dagli agenti delle diverse grange
emerge con ricchezza di particolari la struttura organizzativa di ogni unità
produttiva Le tre parrocchie che esistevano nelle grange tenevano poi i
registri di battesimi, matrimoni e sepolture offrendo notizie importanti sulle
vicende demografiche della zona. |
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Piano generale del Comune di Lucedio dedicato al Principe Camillo Borghese ( 1807 ) ( Immagine tratta da L'Agro vercellese nei secoli XVII-XIX - Archivio di Stato di Vercelli ) |
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Le unità produttive nelle quali era suddivisa la grande azienda di Lucedio hanno caratteristiche simili a quelle di altre unità produttive del Vercellese. Ai fini della conduzione dei terreni agricoli era necessaria la suddivisione dei campi in gruppi omogenei, affidabili al lavoro di una singola famiglia supervisionata da un massaro. Erano esclusi dall'affitto i boschi perché il legname, bene prezioso per l'energia calorica e per la costruzione degli strumenti di lavoro, era riservato alla Commenda. Solo le foglie dei gelsi, destinate all'allevamento dei bachi da seta, ed una piccola quota di legname erano riservate agli affittuari. Questi ultimi non potevano variare la destinazione colturale dei fondi e persino la rotazione delle colture, specialmente per le risaie.. Nel Vercellese il bestiame era un elemento importante vista la vasta utilizzazione di bovini sia per il lavoro dei campi che per la produzione di carne, latticini, formaggio e burro. I grandi settori di attività determinavano le varie figure professionali: - alla semina ( sin dal momento della preparazione dei campi ) era legata la schiavenza, da cui il salariato fisso o schiavandaro, con le varianti di bovari, bergamini e manzolari. - la cura, l'allevamento e la guida dei bovini era fondamentale per i lavori. Ogni bovaro aveva la cura di una o raramente due coppie di buoi che guidava nell'aratura dei campi, nella concimazione, nell'attacco ai carri e nel trasporto delle granaglie e di tutto quanto doveva essere spostato. Il bergamino aveva la cura della stalla, dedicandosi alla mungitura e ai vitelli lattanti. Il manzolaro custodiva i manzi d'allievo ed erbaioli. - l'aratura e la concimazione trovavano tutti i buoi sui campi, come il raccolto, quando si dovevano trasportare covoni sulle aie delle cascine per procedere alla battitura o trebbiatura del risone. Covoni e covini erano disposti in circolo per essere calpestati dagli animali sino ad ottenere chicchi che dovevano poi essere liberati dalla terra e dalle impurità attraverso un lungo lavoro di crivellatura. - il personale era inserito in una struttura gerarchica con bovari e sottocapi bovari. - dopo la semina la cura dei campi era affidata ai prataroli, a cui competeva la regolazione dell'acqua per l'irrigazione, particolarmente importante nel caso del riso, e la decisione del momento del raccolto, in funzione della maturazione dei frutti. I prataroli intervenivano anche nelle operazioni di battitura dei cereali. - la lavorazione del risone nelle apposite piste da riso era compito dei pistaroli, che procedevano all'imbianchimento ed alla crivellatura. In alcune aziende esisteva una struttura specifica per la produzione di burro e formaggio, il casone dove operava un casaro, con i dovuti aiutanti.
Intorno ai
lavoranti fissi ruotavano i cosiddetti manovali, che operavano con
contratti di durata annuale in contrapposizione agli
avventizi, assunti per i
momenti di particolare intensità dei lavori agricoli o per prestazioni limitate
nel tempo. Gli avventizi, reclutati da appositi capi squadra ed impresari
risiedevano all'esterno delle aziende.
Le donne svolgevano per
lo più lavori a giornata: confezionavano, riparavano e lavavano i sacchi,
mondavano il grano dalla veccia, rastrellavano i prati per il fieno e la paglia,
soprattutto del riso, raccoglievano le pietre nei prati, stagionavano i fieni,
mietevano e battevano il ravizzone, mondavano il riso. |
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Il cortile centrale dell'azienda di Lucedio -Immagine tratta dalla visita virtuale al sito web: http://www.principatodilucedio.it/ |
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Il compenso dei lavoratori era funzionale alle mansioni e si divideva in due parti: - in
denaro: era stabilita ad anno per i salariati fissi, mentre per i
manovali fissi poteva essere stabilita a giornata o a cottimo, così come per gli
avventizi. Il cottimo poteva essere calcolato su un intero lavoro o fare
riferimento alle unità di misura ( per giornata di semina del riso, di taglio o
raccolta di fieno, per lunghezza di trabucchi per la manutenzione dei fossi, per
prosie per il taglio delle stoppie, ). - in natura: alla fine del '700 e all'inizio dell'800 i salariati fissi avevano a disposizione l'abitazione con l'orto, un pollaio ed un piccolo porcile normalmente con un animale. I gallinacei erano mantenuti con prodotti derivati dall'azienda ed il numero era proporzionale al ruolo ricoperto. Gli approvigionamenti annuali prevedevano per i salariati legati a schiavenza ( e per ogni schiavenza )12 emine di segala, 36 emine di meliga, 2 emine di riso bianco, 1 emina di fagioli e 300 fascine di legna.
Gli
alimenti potevano essere acquistati all'interno dell'azienda a prezzi
all'ingrosso. |